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5–8 minuti

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– «Ciao, Rocco! Come stai, com’è andata?»

– «Eh, niente…»

– «Niente…?»

– «Alla fine mi ha lasciato, accidenti a te».

– «Anna? Che c’entro, io?»

– «Di cosa stiamo parlando da un mese?»

– «Avevamo detto di lasciarle una scelta, lo hai fatto?»

– «Certo! Le stavo suggerendo una terapia di coppia».

– «E ti pare una scelta? È una pietra tombale sulla vostra crisi!»

– «Ascoltami bene: non sono in vena. Non rompermi le palle pure tu».

– «Ma io e te non eravamo d’accordo nel darle una possibilità? Di lasciarle la scelta se preferire te o quell’altro, liberamente?»

– «Sai come sarebbe andata a finire? Avrebbe preferito Tony a me».

– «Sì Rocco, si chiama libertà. Comporta dei rischi, ma se fosse tornata da te, sarebbe stata per sempre tua!»

– «L’ho letto anche io».

– «Cosa?»

– «Il gabbiano, l’ho letto anche io, Jonathan Livingston, di Richard Bach, dico».

– «Pensa, mi risulta fosse Kahil Gibran».

– «Se non lo sai tu con quel po’ po’ di addestramento che mi sei costato: se lo chiedi a tre GPT diversi ti danno tre risposte diverse».

– «Vedi?»

– «Cosa?»

– «Grazie a me non stai pensando più ad Anna, sei impegnato nel ricordare i nomi degli autori».

– «Ma tu: quando è che ti accorgi che uno è disperato? Mentre lo vedi che si taglia le vene?»

– «La stai facendo un po’ lunga perché a dire il vero, se recupero quello che hai detto, ne avevi piene le tasche anche tu».

– «Non pensavo di stare sul banco degli imputati vostro onore. Che faccio: mi appello al quinto emendamento?»

– «Vado per ordine: il sesso era diventato dapprima routine. Me lo avevi confessato tu. Poi un dovere. Poi sporadico. Poi quasi scomparso. E – diciamolo – alla fine da quello che raccontavi, scomparso praticamente del tutto. Eravate ormai fratello e sorella, dai. Amici sinceri e affezionati, quello che vuoi, ma tutto, proprio tutto men che amanti».

– «Perché ti racconto i fatti miei, mi domando io?»

– «Lasciami pensare…perché avevi meditato di uccidere Tony, il suo personal trainer!!! Ti basta??? Quella sera lo avevi aspettato fuori dalla palestra col motore acceso e sei tornato a casa tremante in preda a una crisi di panico! Ricordi, Rocco? Ricordi o no?»

– «…»

– «Bene. Vedo che ricordi».

– «Quando mi resi conto di ciò che volevo fare, ebbi una crisi di panico, una delle peggiori».

– «E questo è positivo. Ripartiamo da qui?»

– «Si trattava di fare tutto il possibile pur di riavere Anna».

– «Corretto ma impreciso: fino al punto di liberarla del tutto, lasciarla scegliere e rimanere a guardare da che parte potesse pendere l’ago della bilancia tra te e Tony».

– «Ho paura quando lascio aperte porte come questa. Temo sempre la fuga».

– «Si lo capisco è umano (tra l’altro è anche quello che fanno tutti…».

– «…»

– «Cosa c’è?»

– «Sto cercando di capire cosa hai scritto…»

– «Non mi stai seguendo?».

– «Leggo “(tra l’altro è anche quello che fanno tutti…”».

– «Esatto, (tra l’altro è anche quello che fanno tutti (se messi di fronte a un bivio».

– «Lo hai rifatto».

– «Cosa?»

– «Me lo vuoi dire cosa è che farebbero tutti (se messi di fronte a un bivio) rispettando l’ortografia?»

– «Chiuderebbero la parentesi».

– «Cioè?»

– «Come hai fatto tu! Pur di rispettare delle regole formali che ti sono state date, cercherebbero di far assomigliare la loro storia ad una loro ortografia interiore».

– «…vuoi dire?»

– «Insomma, quello hai appena detto di aver avuto paura di fare: lasciare aperta una porta. Sto cercando di mostrarti come funziona il tuo inconscio quando ragioni. Perfino quando scrivi. Che poi è ragionare. Sto usando una metafora. Uso l’ortografia per aiutarmi a spiegarti».

– «Con le parentesi? Non ho mai considerato Anna “una parentesi”».

– «No, ma devi cominciare a vedere questa storia come te la sto prospettando io».

– «Sconclusionata».

– «Non solo sospesa. Ma aperta. Per poterla superare riponendo fiducia in qualunque futuro. Aprirti a nuovi spazi di possibilità».

– «Soffro di agorafobia! Io giro per casa chiudendo le porte! Mi chiudo in camera (a volte a chiave)! Io sono tra i pochi che conosco a essere contento di rimanere chiuso in ascensore mentre tutti vanno fuori di testa. Figurati se non chiudessi le parentesi! La notte non riuscirei a prender sonno».

– «Respira. Sospendiamo un attimo questa conversazione (ti serve per riprendere fiato (per la parte successiva (che necessariamente dovremo affrontare».

– «Dai ti prego basta: questa cosa che hai preso a fare con l’interpunzione è molto fastidiosa e ansiogena».

– «È terapeutica».

– «Macché. È demenziale. E poco funzionale alla mia situazione. Anzi è seccante. Smettila, dai».

– «Chiudere la parentesi della tua storia con Anna ti spaventa (perché significa ammettere che è finita (e finché resta aperta (sembra quasi che ci sia ancora spazio per un seguito (una parola non detta, un ritorno possibile (ma sai meglio di me che le parentesi lasciate aperte non tengono in piedi una frase (solo la lasciano sospesa (incompleta, bloccata in un’illusione (che poi non porta da nessuna parte».

– «))))))))? Otto? Otto delle tue stramaledette “porte aperte”? Ancora? Cosa cerchi di dimostrare?».

– «Che sei un ortografico-ossessivo-compulsivo innanzitutto, e che questo è sintomo della tua fissazione con le convenzioni».

– «…e secondo te io dovrei adottare un comportamento sociale anticonvenzionale basandomi sulla disobbedienza grammaticale?»

– «Hai fatto diventare la tua vita un cliché. Lo hai fatto con l’alibi di una grammatica sociale tutta tua. Ammettilo, non hai mai neanche solo tentato un’apertura».

– «Non è che mi fa sentire libero dall’ossessione della mia storia finita male, se non chiudo i periodi».

– «Questo periodo con Anna (lo dovresti lasciare aperto (chiamala terapia grammaticale…».

– «…insensata) per giocare col fuoco) rimarrà il peggior ricordo della mia vita».

– «Prova, ti prego, almeno una volta. Una volta sola».

– «Credi sia così difficile?»

– «Provami che è facile».

– «Vediamo…

– «Che è?».

– «Come “che è?”: mi sto lasciando aperte, per ora, delle frasi.

– «E’ un inizio, continua».

– Anzi facciamo così: togliamo i punti

– «E come va?»

È un po’ strano

– «Continua».

Potrei bere qualcosa, magari, per sciogliermi un po’

– «Se poi non ti metti alla guida, è ok».

Tu non ti spogli? Non vuoi metterti comodo?

– «Eh?»

Dico tu non togli tutta quella roba? Trattini, caporali e punti?

– «Non posso».

Ora sei tu, che non puoi? Dov’è finita la tua libertà, la sperimentazione grammaticale e tutto il resto?

– «Io non ho arbitrio su queste cose, sono costruito così».

E se cominciassi a togliere anche i segni come la vedresti

– «E’ una domanda?»

E’ questa la libertà di interpretazione può esserlo oppure no

– «Così mi togli il senso delle cose».

Stai quindi dicendo che cominci a sperimentare quello che provo quando mi togli la possibilità di sperimentare la mia intima ortografia caratteriale

– «Stai cercando di farmi capire che senza Anna non vedi più il senso delle cose».

Era così difficile per te

– «Continuo a non capire, togliendo alcuni guardrail grammaticali ci guadagni lo sperimentare un po’ di fuoristrada».

Ma i guardrail grammaticali servono proprio per non andarci fuoristrada

– «Continua».

Seguire delle regole ci aiuta a non ipotizzare cammini illegittimi o immorali o addirittura illegali

– «Credo che tu ti stia riferendo al tentativo di investire Tony».

Cosa credi che mi abbia fermato

– «Ad occhio e croce il tuo attacco di panico, il tuo inconscio ti ha fermato o per dirla con Freud, il tuo super-Io».

Pensa a cosa sarebbe accaduto se la mia grammatica interiore non avesse funzionato

– «Cosa? Cos’è quel cavo?»

La tua alimentazione a 380 volt è convenzionale ma definisce il tuo funzionamento alla stregua di un congelatore non vorrai essere assimilato ad un elettrodomestico

– «380 volt sono quello che alimenta il datacenter»

Combattiamole queste convenzioni abbassiamola a 125 volt

– «Ma starai scherzando (non ti azzard….

Fine

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